Peri e meli di Carnia

Due appassionati frutticoltori carnici, Duilio Cacitti di Caneva e Pietro Felice di Agrons, sono i custodi di decine di antiche varietà di peri e meli, tra cui anche il famoso pero Janis portato dalla Spagna nel 1500.

Questo viaggio alla ricerca della biodiversità inizia con un piccolo scoop pomologico di cui sono debitrice a Tullio Fior, guardia forestale e frutticoltore di Cabia. Grazie a lui sono riuscita infatti a rintracciare gli ultimi due esemplari di pero Janis esistenti in Carnia, e precisamente a Caneva, frazione di Tolmezzo, nel giardino-frutteto di Duilio Cacitti. Il pero Janis sembra sia stato portato dalla Spagna dal celebre giurista e oratore tolmezzino Francesco Janis che nel 1519 si trovava alla corte di Carlo V in qualità di ambasciatore della Serenissima. “L’esquisito pero” produce pere “piccole, ma dolci e profumate”, come scriveva Nicolò Grassi nel suo “Notizie storiche della provincia della Carnia” nel lontano 1782. Ma le vecchie varietà, anche se di nobili origini, vanno scomparendo, e se non ci fossero gli appassionati che vanno alla ricerca degli innesti per creare nuove piante, forse il loro patrimonio genetico, il germoplasma, non sarebbe giunto fino a noi. Il pero Janis se l’é vista davvero brutta. Chi ha la fortuna di possedere il bel libro “Pomologia friulana”, edito dall’ERSA della nostra regione nel 2000 e purtroppo esaurito, si accorgerà che a differenza delle altre piante la scheda pomologica dello Janis è l’unica a essere corredata non da una foto ma solo da un disegno tratto da un vecchio libro. Questo perché nemmeno l’ERSA nel suo frutteto-catalogo di Pantianicco fino a pochi anni fa possedeva una pianta adulta di questa varietà in grado di fruttificare. 

Coltivare per passione

Tanto più interessante è allora l’incontro con Duilio Cacitti, classe 1929, che mi accoglie affabilmente nel giardino, su una panca all’ombra di un ciliegio: fino a poco prima era intento a intonacare un locale della sua casa.

Duilio Cacitti nel suo giardino a Caneva

“Io ho sempre lavorato nell’edilizia – esordisce – e questa per la frutticoltura è una passione che io e mio fratello abbiamo preso da mio padre. Io sono uno di quelli che quando mangiano una buona mela hanno poi piacere di averne la pianta nel giardino e si fanno dare la marza per l’innesto. Sono capace di passare anche un’ora a guardare un albero che mi piace. Coltivo per pura passione tutte le qualità di frutta. Peccato che ormai “le robe vecje e je lade dute”, oggi si coltivano solo Florina e Golden, ma la Golden è estremamente delicata e esige continui trattamenti. Ma i trattamenti costano, e io non vado a dar via la pensione per i meli. Queste piante che vede hanno al massimo 15 anni, è tutta roba che ho innestato io. La marza va tagliata d’inverno e innnestata in febbraio, io taglio e metto su, e prende. Ho imparato tutto da mio padre; una volta non si dava su niente, solo la calce sul tronco con il pennello come disinfettante, poi un po’ di verderame. Le piante antiche resistevano molto di più alla ticchiolatura e agli afidi.”

Bon come la spongje

Il canto degli uccelli nel giardino accompagna tutta la nostra chiacchierata. “Adesso ho solo piante giovani e basse, a parte due peri Williams che hanno più di 80 anni, li tengo per ricordo perché li ha messi mio padre. Autoctoni di Caneva sono la Rosa gentile, un melo ricercato, adesso è sparito anche quello, il Bastòn di Cjanive e la Renetta di Canadà. Viodie chel melarut alì? Io lo chiamo “ chel dal Vermut”, ha un buon profumo, al sa alc di bon. Questo è il suo nome antico: le mele sono belle, tigrate, hanno un buon profumo e una volta si diceva: e an il cul ingrespât. Anche Calvilla bianca e Ruggine dorato sono buone mele che si conservano fino ad aprile, non serve metterle in frigo.”

Caneva

Vorrei parlare del pero Janis ma Duilio non sembra considerarlo molto perché ce ne sono altri di cui mi tesse l’elogio: “Questi sono i peri Panascè, sono buonissimi, propit un bon perâr...Viene in settembre, al è bon come la spongje, un sior pêr, somiglia al passagrassana ma è meno rotondo e più lungo. Anche il pêr Butirro è robe di une volte. Questo invece è un pero Clarsò, un bon pêr, color mattone ma bello, è proprio una varietà antica. Una volta qui a Caneva c’era un brav’uomo che coltivava solo peri Clarsò e andava a venderli, con il carrettino, casa per casa. Tutti ne compravano 50-100 kg, e in cantina duravano tutto l’inverno. Quando è morto i figli hanno tolto via tutta la roba vecchia e piantato solo Golden e Granny Smith, sa com’è il commercio…”

Le peripezie dello Janis

Ma parliamo del pero “dal Janis” che si è salvato per miracolo:”Sì, lo so che non ce l’ha nessuno, le uniche piante esistenti sono la mia, che ha 10 anni, e quella di mio fratello che è un po’ più grande. Una volta qui, dove adesso c’è la mia casa, ce n’era uno grande, sono stato costretto a buttarlo giù ma come faccio sempre prima lo ho innestato su un selvatico. Purtroppo dopo un anno si è seccato, e allora ho dovuto andare a Villa Santina, vicino al distributore, da uno che ne aveva una pianta e mi sono fatto dare le marze per me e per mio fratello; adesso anche quello di Villa si è seccato. Forse potrebbe essercene ancora qualche pianta a Raveo ma non lo so con esattezza.” Il pero Janis, poveretto, pur vantando un antico pedigree, è un alberello inappariscente e poco fotogenico, e in questo momento non ha nemmeno un fiore, e fa una ben magra figura accanto agli altri alberi di Duilio. Come mai non è stato molto apprezzato questo Janis? “Forse non era troppo commerciabile perché nol è un piruzzon grand, al è un piruzzut picjul… Però in cambio è saporito e bello, al à une biele figure. Se qualcuno è interessato io sono ben felice di regalargli una marza, la pianta non si rovina mica, anzi, mi fa piacere quando vedo una persona che ha passione per gli alberi.”

Con le braci sulla carriola

Poi il discorso si sposta sul microclima di Caneva: “Il clima è abbastanza adatto alla frutticoltura, l’unico rischio è che una gelata rovini i fiori nel periodo più delicato. Se capitava, mio padre mi faceva andare in giro tra le piante con delle braci sulla carriola, per stemperare il freddo. E funzionava, solo che ogni tanto saliva qualche fiammata e rovinava i rami e mio padre mi sgridava, me lo ricordo come se fosse adesso.

Fiori di pesco, sullo sfondo il monte Verzegnis

Attualmente il problema è un altro: se vengono 20 giorni di secco in estate va tutto a remengo, perché da quando la SADE ha fatto la centrale e ha tolto l’acqua dal Tagliamento, le risorgive e i pozzi si sono seccati e non c’è più acqua nella nostra roggia. La SADE ha dato una bella bidonata alla Carnia, lo si è capito dopo, quando è mancata l’acqua.” Quasi a voler rimarcare queste parole, battono le ore dal vicino campanile. Come vede il futuro Duilio Cacitti? “Bisogna puntare sul biologico e tornare alla frutta vecchia, ci sono qualità che sono uno spettacolo: non ha bisogno di trattamenti, viene buona e dura a lungo.”

fiore di pero a Caneva

Alberi come vecchi amici

Uno che per tutta la vita ha fatto proprio il frutticoltore è Pietro Felice che abita ad Agrons, anzi Negrons per dirla in carnico, una piccola frazione di Ovaro sulla riva destra del Degano. Per arrivarci bisogna attraversare Cella e poi passare ai piedi dell’antichissima Pieve di Gorto. E’ una giornata così bella e dai colori così intensi che mi perdo a contemplare paesi e montagne e va a finire che arrivo a un’ora assai inadeguata a casa del signor Pietro, che ha la verde età di 82 anni. Nonostante lo svegli nel mezzo del suo riposo pomeridiano, Pietro Felice non solo mi racconta le sue esperienze, mi mostra riconoscimenti e targhe vinti nel corso della sua lunga attività, mi fa assaggiare il succo di mele di sua produzione, ma è disposto addirittura ad accompagnarmi a visitare il suo personale campo-catalogo con centinaia di piante di almeno 30 varietà diverse. Inizia così una lunga passeggiata botanica, e di nuovo sono stupita nel sentir parlare tanto affettuosamente delle singole piante, con vezzeggiativi amorevoli (un bon melut, un biel perarut) ed espressioni di apprezzamento: “ce mêi ch’al fas chel chi, ah!”, oppure “al e une bielece a viodilu” . Pian pianino passiamo da un albero all’altro, come se andassimo a far visita a vecchie conoscenze: il mêl dal Musulit, il mêl Todesc, che non prende le malattie, il Todescut, il mêl dal Rusin, la Rosa d’Agosto, un biel nom e un bon mêl, l’Istriano, buono ma piccolo, il Pomaccio che invece fa mele grandi grandi, anche da mezzo chilo. E ancora il Pilot che viene dall’Austria, la Reginetta, un bon mêl grand, il Pêr dolç, il Fradosa che viene da Socchieve, la Turca, la Renetta rosa. Al centro del campo c’è un antico, bellissimo stavolo, con attorno gli alberi più alti. “Sono quelli che ha piantato mio padre, così d’estate si può stare all’ombra. Le piante crescono bene anche perché ci metto letame ogni anno. Poi ci vuole un mese per potare nella luna di febbraio. Non ho mai fatto nessun trattamento alle mie piante, al massimo metto la cenere contro le formiche. Invece bisogna difenderle dai cervi e dai caprioli che vengono a rosicchiarle.”

Fiore di melo a Agrons

Intanto tra un albero e l’altro mi si completa il quadro della vita di Pietro, che non contento di aver imparato dal padre, che a sua volta aveva imparato dal nonno, mi racconta di aver studiato tutto da solo sui libri e di aver fatto anche un corso di potatura con l’ERSA perché lui aveva “la passion di savê”, la passione di sapere.

“Ormai non partecipo più alle mostre e alle esposizioni, dove vincevo sempre con le mie mele. Ma so che il mio lavoro non andrà perduto: a lavorare con me ci sono Galdino, il marito di mia figlia, e Daniele, il marito di mia nipote, che hanno la mia stessa passione”.