Tele di Vinai no si sbreghe mai

©Antonietta Spizzo per “IL NUOVO” 2004 – Le foto sono state gentilmente concesse da Ulderica Da Pozzo

Donata con le sue mucche a Val di Lauco nel 2003

Per la mia serie sulla montagna che resiste voglio visitare oggi due frazioni del comune di Lauco, Vinaio e Val, poste rispettivamente a 807 e 1200 metri di quota sulle pendici meridionali del monte Arvenis. Lasciata Villa Santina con le sue caratteristiche di vera cittadina ormai assediata dal traffico, imbocco la strada che sale a tornanti verso Lauco non senza aver prima alzato gli occhi verso lo sperone montuoso proprio a ridosso delle case su cui si inerpicava “la strade dal Cret”, la mulattiera che una volta era l’unico collegamento tra l’altopiano e il fondovalle. Dopo Lauco c’è Vinaio. La Via Crucis che viene rappresentata il Venerdì Santo alla luce delle fiaccole ha riportato questo paese sulle pagine dei giornali. Passando vedo un bar aperto e un negozio piccolo ma fornitissimo di alimentari-ferramenta-generi vari nel miglior stile di una volta. Buon segno per un paese di 40 anime. Ancora 4 km di strada stretta e tortuosa e sono arrivata a Val di Lauco, 17 abitanti, 4 aziende agricole, 100 mucche.

Donata Sperandio mi accoglie nella sua bella casa piena di fiori (sono la sua passione, oltre agli animali) con in braccio Gabriele, 5 mesi, nato il 7 gennaio 2004. Erano 26 anni che non nasceva un bambino quassù. Donata ha 30 anni, è nativa di Forni di Sotto ma la sua famiglia da molti anni si era trasferita a Villa Santina. Dopo aver studiato alle magistrali di Tolmezzo aveva trovato lavoro in banca. Ma per lei, dinamica, sportiva, appassionata di sci, calcio e ciclismo, stare tutto il giorno al chiuso a lavorare sul computer era una sofferenza. Così, dopo aver resistito per 5 anni, il grande passo: quando il marito Renato Dario ha rilevato la vecchia casa di famiglia a Val di Lauco, con un grande investimento hanno comperato 25 mucche e 8 maiali e hanno rimesso in piedi l’azienda agricola della famiglia di lui.

Foto tratta dal volume “Malghe e malgari”, Forum 2005

“Sono ormai cinque anni che viviamo qui stabilmente. Renato ha recuperato la tradizione di famiglia, ma siamo partiti da zero, solo con la passione e l’esperienza che lui aveva accumulato fin da piccolo. – ci racconta Donata – D’estate ci si alza alle 4, d’inverno alle 3 e mezza, per fare il lavoro nella stalla e mungere. Tutto deve essere finito prima delle sette del mattino, poi si può anche riposare. Facciamo formadi, scuete e spongje con i metodi di una volta e li vendiamo direttamente ai privati. E poi coltiviamo cipolle, cappucci, patate (cartufulis), fagioli no perché fa troppo freddo. Ma la mia vera passione sono gli animali. ”

Accanto alla casa c’è la stalla, che porta la data del 1920. Adesso Stele, Stajare, Susi, Furmie, Strause, Nelca, Vecje, Rosi, Maravee, Perla, Brunica e tutte le altre mucche sono al pascolo, a circa 1 km da qui. Donata le porta fuori al mattino e le va a riprendere alla sera, portandosi dietro Gabriele ovunque. Nella stalla pulitissima, senza neanche una pagliuzza fuori posto, adesso ci sono solo i due tori, Rex e Mirco, gli omenons.

Foto tratta dal volume “Femines. Donne del latte”, Forum 2020

Si sta avvicinando la stagione dell’alpeggio, che quest’anno comincerà il 20 giugno e durerà come di consueto fino all’otto di settembre. Par “lâ in mont”, prima alla malga Corce, a 1246 m, e poi in Agareit (m 1670), tutte le mucche indosseranno il loro campanaccio che consta di due parti, la cjaneva, cioè il collare di legno fatto a mano e intagliato, e il sampogn, ovvero il campanaccio vero e proprio. Il più grande, quello per la mucca “regina”, pesa 20 kg. “ Ogni animale ha il suo! Non si può lasciare una mucca senza, sono gelose, si azzufferebbero. – precisa Donata – Come dice Renato: “la vacje cuant che e va in mont e à di lâ cun orgoglio”. Tu non ci crederai ma è proprio così! Durante l’estate con le mucche in malga si è più liberi, anche se il lavoro della fienagione è molto faticoso perché a causa della pendenza va fatto quasi tutto a mano, non si può usare il trattore.”

Quali sono i principali problemi quassù? “ I contributi all’agricoltura di cui si fa un gran parlare vengono dati in modo irregolare e pagati quando capita, mentre per ogni domanda ci vogliono 70 Euro sull’unghia; le leggi non tutelano a sufficienza le aziende che lavorano in alta montagna, equiparandole a quelle di pianura. E poi nello specifico per noi un grosso problema è la strada, che molto spesso in inverno è impraticabile. Io se non riesco a usare la macchina con le catene uso la jeep, e se non basta anche il trattore. Sapessi quante volte ho lasciato la macchina a Vinaio e sono salita a piedi (45 minuti in salita). E sapessi quante catene ho spaccato andando su e giù (ond’ ai spacadis cjadenis no pocjs) !”

Questo “record” di Donata mi appare al tempo stesso divertente ma anche significativo delle condizioni di vita in montagna che un cittadino non riuscirebbe mai a visualizzare. Forse proprio per l’ignoranza di questi piccoli dettagli, penso tra di me, non si riesce a fare niente di concreto per la montagna, e nelle malghe a 2000 metri si fanno i bagni con le piastrelle fino al soffitto dimenticando di mettere a posto i ricoveri (logjes) per le mucche.

E’ quasi superfluo chiedere a Donata com’è la qualità della vita a Val, dove l’aria è odorosa di fieno e di stalla. “Noi teniamo sempre tutto aperto, porte e finestre, il profumo dell’erba, il canto degli uccelli, non c’è nulla che disturbi, il cibo è squisito e naturale e ha un gusto diverso da quello comprato. La posta arriva su al lunedì, il pane al venerdì. Preferisco questo lavoro dieci volte di più, anche se è faticoso, specie in inverno e quando le mucche devono partorire. Qui non ho padroni e non devo timbrare più il cartellino. Il segreto sta nel sapersi organizzare bene. La distanza in fondo non è un problema: se ho voglia di vedere gente prendo su la macchina e vado a farmi un giro, non sono in clausura, io.”

Foto tratta dal volume “Malghe e malgari”, Forum 2005

Salutata Donata, cammino fino a Triscjamps, dove finisce la strada. Nei prati geranei selvatici e ranuncoli, qua e là i maggiociondoli ostentano la loro regale bellezza in una luce accecante.

Sono le due del pomeriggio quando suono alla porta della signora Oliva. Ci sono le chiavi all’esterno nella toppa. La signora Oliva si riprende subito dallo stupore dovuto alla mia inaspettata presenza e mi invita a bere un caffè, così fa una pausa tra la raccolta dello sclopit e il lavoro nel campo. La cucina profuma di ricotta affumicata. Lei, il figlio e la nuora (proveniente dalla Moldovia) sono gli unici abitanti della borgata. Prima quassù erano 5 famiglie, 22 persone. “Sono andati tutti via che non c’era strada né comodità. Adesso tornano solo per far fieno oppure quelli di fuori che hanno comprato le case per godersi questo posto” Ma Oliva si è abituata alla nuova situazione e non ci dà peso. Suo figlio lavora a Villa Santina da ben 24 anni e non ha mai voluto trasferirsi “più giù”. Oliva fa ancora tutti i lavori, va nel bosco a “fâ una stangje” (tagliare un albero secco) o “fâ un fassùt” (raccogliere stecchi) e lavora nel campo. Ricorda di quando trasportava con la gerla il letame oppure il carbone per 200 lire al giorno da Runchia a Vinaio (“a scuen ben dulî dut cumò”) e l’invidia che provava da ragazzina di fronte alle donne adulte che portavano 50 kg nella gerla mentre lei ne riusciva a portare solo la metà (anche la paga naturalmente era dimezzata). Ma “quando si sono aperte le strade per le Svizzere” ha lavorato sei anni in un albergo a Losanna. “Quando uscivi per le strade sentivi parlare solo friulano” – mi dice. “Mi fa nervoso vedere come vengono trattati gli immigrati qui in Italia e sapere che in molti casi vengono sfruttati”.

Foto tratta dal volume “Malghe e malgari”, Forum 2005

Prima di salutarmi Oliva mi dice che Vinaio è “un pais plen di ligrie, ch’al ame il forest.” Sarà vero? A questo punto non resta, sulla strada del ritorno, che fare un giretto per Vinaio. Videlma Dionisio, la titolare del bar, mi racconta un po’ la storia del paese. “Nel 1960, quando andavo io alle elementari, c’erano 50 bambini, adesso in tutto il paese ce ne sono 4. Sembra di essere in un altro mondo. Eppure questo è un paese speciale, perché qui c’è unione e lo si è visto negli ultimissimi anni con la partecipazione collettiva a tante iniziative, come ad esempio la Via Crucis, che è rinata nel 2001 dopo un’interruzione di 50 anni. Le 40 comparse sono tutte persone di Vinaio, residenti o originari del paese. La riuscita di questa manifestazione così impegnativa, tutta in costume, che richiede diverse prove, è per noi un gran motivo di orgoglio e una forte spinta a migliorare. Quelli che vengono da fuori si sentono subito coinvolti, come se fossero nati qui. E poi l’ultima domenica di luglio c’è la festa della fienagione, che è diventato un modo per tenere pulito il paese stando in compagnia e divertendosi. Prima avevamo tante di quelle erbacce da far paura (erbononas di fâ pôre). Prima di Natale facciamo una cena a cui partecipano più di 100 persone, quest’anno son venuti apposta fin dal Belgio. Insomma è proprio vero il detto “Tele di Vinai no si sbreghe mai” Anche se siamo in pochi non abbiamo paura di niente”.

Arrivare in Val di Lauco: da Villa Santina si sale a Lauco (Km 6), e si prosegue per Vinaio (km 4) e Val di Lauco (km 4). Al ritorno, da Vinaio si può prendere per Buttea e Fusea scendendo a Caneva di Tolmezzo.

Bibliografia: G. Marinelli, Guida della Carnia e del Canal del Ferro, Udine 1912, offre un interessante e istruttivo viaggio nel passato.